Questo libro è valutato da me:
Dopo che IBS mi ha dato l’occasione di leggere in anteprima i primissimi capitoli, ho deciso poi di prendere “Vox” di Christina Dalcher subito alla sua uscita. E’ uscito all’inizio di settembre 2018, edito da Editrice Nord e tradotto da Ronca Barbara.
Jean McClellan è una stimata scienziata di neurolinguistica. Questo non le basta ad essere risparmiata all’ondata di Medioevo che sta ricoprendo da quasi un anno gli Stati Uniti. Il nuovo governo ha deciso che erano migliori i tempi in cui le donne facevano le casalinghe, si occupavano solo dei figli, di cucinare e pulire casa e far trovare tutto pronto ai loro uomini quando tornavano dopo una giornata lavorativa. Insomma, un vero e proprio ritorno a vecchie ed insane abitudini. Se questo già non fosse abbastanza, per evitare insurrezioni, manifestazioni e via dicendo, ogni donna è costretta a portare al polso un contatore. Questo contatore si resetta tutti i giorni a mezzanotte e consente loro di poter dire solo fino a 100 parole al giorno. Non solo le donne, ma anche le bambine: ogni essere umano femmina è costretta a portare questo aggeggio di tortura. L’unica cosa sul quale hanno voce in capitolo è la scelta del colore del loro braccialetto, come se fosse un oggetto di vanto o di moda, come fosse un braccialetto Pandora.
Jean, dal canto suo, è molto preoccupata per Sonia, la sua bambina di sei anni, che sta crescendo abituata a questa tortura, a non poter parlare e a non poter dire la sua su niente: a scuola, infatti, non le viene insegnato praticamente nulla se non una matematica di base, che le servirà per tenere i conti della sua futura famiglia, a cucinare, cucire e via dicendo. Non è previsto che sappia leggere e scrivere. Ma ora, Jean, pare essere l’unica che ha l’opportunità di fare qualcosa e di ribellarsi, a nome di tutte le donne.
“<<Ma vaffanculo, Patrick!>>
E’ arrabbiato, ferito e frustrato, lo so, però nulla di tutto questo giustifica le parole che escono dalla sua bocca subito dopo, le uniche che non sarà mai in grado di rimangiarsi, le uniche che affondano più di qualsiasi scheggia di vetro. <<Lo sai, a volte mi domando se è meglio quando non parli.>>”
Molto particolare questa storia ed anche come è stata sviluppata. L’autrice è al suo primo esordio, quindi qualche piccolo errore ci può a stare. In alcuni punti l’ho trovata un po’ confusionaria, quando parlava del presente e del passato, spesso non distinguevo totalmente la differenza. Tuttavia è un libro che si legge molto piacevolmente ed è scorrevole. La tematica trattata, come dicevo, è molto particolare ed estremamente attuale. Attuale non perché a breve qualcuno ci toglierà la voce, il lavoro e tutto, ma perché metaforicamente parlando, al giorno d’oggi ancora non siamo arrivate al punto di essere considerate al pari degli uomini in tutto e per tutto e, ogni tanto, ricordarci che fino a poco tempo fa non avevamo voce in capitolo in niente, male non fa proprio. E’ quindi una lettura che fa riflettere, che da molti spunti di riflessione, specialmente la preoccupazione di Jean per Sonia perché è fondamentale chiarire che un conto è trovarsi nella condizione di non parlare più, sai quello che stai perdendo, sai che vuoi ribellarti perché la situazione ti sta stretta. Ma tutt’altra cosa è se ci nasci e ci cresci in questa condizione: non hai paragoni, la tua realtà è semplicemente quella e con il tempo non ti interesserebbe neanche ribellarti.
L’unica nota dolente è il finale, secondo me. Leggendo qualche opinione qui e lì, è stato detto che era scontato, e questo è vero, ma non è la motivazione per cui lo definisco un punto debole di questo bel romanzo, perché onestamente non poteva finire diversamente, vedendo come si svolge la storia, questa è una cosa gradita per me. Quello che penso è che sia stato decisamente troppo frettoloso, come se si volesse chiudere in fretta la storia. Insomma, su 400 pagine, alla parte conclusiva forse ne sono dedicate 10, quando secondo me meritava un epilogo un po’ più articolato e preciso, per chiudere in bellezza. La sensazione è quella appunto di aver chiuso la faccenda frettolosamente, senza sprecarsi in dettagli, da una pagina all’altra tutto è finito. Questo un po’ è deludente, ma come detto prima, essendo l’esordio dell’autrice, qualcosa gliela possiamo anche perdonare e la considero comunque molto promettente.
Alla fine della storia mi chiedo: io non riesco a fare articoli e recensioni di meno di cento pagine (ma neanche cento righe a momenti), figuriamoci dire massimo centro parole in una giornata! Davvero ridicolo solo pensarci, talmente è macabra questa restrizione.
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