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Dopo l’ultima intervista pubblicata, inerente a “L’artificio dell’illuminato“, rimaniamo nell’ambito del fantasy avendo il piacere di intervistare l’autrice di “Caoineadh” di Eva D’Amico, edito da IDEA Immagina Di Essere Altro, con il quale ho avuto il piacere di collaborare. La recensione la trovate cliccando qui e chi l’ha letta sa benissimo quanto mi sia piaciuto questo libro e quando la storia mi abbia coinvolta fino alla fine, quindi l’occasione di intervistarne l’autrice l’ho davvero colta al balzo! Cominciamo subito con le domande!

Da dove hai preso ispirazione per “Caoineadh”? E’ un romanzo fantasy molto particolare e ben strutturato, hai creato un mondo intero dal nulla. E’ la cosa che più mi ha affascinato della trama.
L’ispirazione primaria di Caoineadh nasce dal folklore irlandese e dai suoi paesaggi: era da molto che desideravo scrivere una storia incentrata sulle streghe e l’aspetto che mi ha sempre affascinato maggiormente di questa figura è la natura primigenia, sciamanica e fortemente connessa alla natura. Così, dovendo dare un “volto” al mondo del mio romanzo non potevo che avere davanti agli occhi lo sconfinato verde irlandese. La figura a cui mi sono ispirata è quella della Banshee, una fata terribile, potente e spaventosa ma anche dal forte spirito protettivo.

Il personaggio di Aibhill, la protagonista, è una ragazza molto forte nonostante la sua giovane età ed è una che lascia il suo segno. C’è un po’ di te in lei o hai tratto ispirazione da qualcun’altro?
C’è molto di me in Aibhill, di come sono, di come vorrei essere, di come ero e di come sono diventata, poiché attraverso la sua crescita sono cresciuta io per prima, mi sono posta domande e data risposte.

Scrivendo “Caoineadh” hai creato un mondo da zero con usanze e modi di vivere molto diversi dal nostro. Quanto ci hai messo a scrivere tutto il romanzo e quanto lavoro c’è dietro ad una storia simile?
Per scrivere l’intero romanzo ho impiegato circa un anno ma la fase preparatoria è stata ben più lunga e non si è mai interrotta durante la scrittura. Trovo che prima di rielaborare una figura o un mito sia necessario conoscerlo approfonditamente, così mi sono documentata per diversi mesi prima della stesura sulla parte prettamente storica: la nascita del mito della Banshee, i suoi fondamenti storici e le implicazioni socio culturali di una simile figura. In seconda battuta ho approfondito i miti animisti e sciamanici ed infine la wicca, senza dimenticare la parte antropologica relativa alla figura della “donna-strega”. Non nego infine che da brava giocatrice di ruolo non ho potuto non strizzare l’occhio anche al mondo di Dungeons&Dragons. Riuscire a far convivere tutto questo non è stato semplice: dietro vi è stata un’opera di integrazione tra mito, religione, magia e immaginario fantastico che mi ha posto sfide molto complesse ma anche divertenti.

Hai mai pensato di dare un seguito a “Caoineadh” o a farne un prequel per approfondire di più la storia delle streghe o pensi che la storia possa essere conclusa così?
Inizialmente il romanzo era stato concepito come primo volume di un ciclo di storie auto-conclusive. In seguito ho abbandonato l’idea in quanto la storia ha preso una piega che mal si sposa con il progetto iniziale che avevo in testa, diventando un’opera tutta diversa. Non nego tuttavia che il pensiero di un prequel sulla nascita delle Caoineadh è ancora vivo e credo che gli darò seguito.

Cosa hai provato a vedere la tua bellissima opera pubblicata e cosa significa per te?
Vedere pubblicata la propria opera è un’emozione immensa: la scrittura è una cosa profondamente intima, mettendo su carta i tuoi pensieri e tutto l’universo immaginifico che ti vortica in testa condividi quanto di più potente e profondo hai dentro. Scrivendo un autore si scopre, mostra le sue fragilità e la sua forza, le lascia libere nel mondo affinché anime affini le incontrino e quando questo avviene, quando un romanzo emoziona o fa riflettere, non c’è emozione più grande ed allo stesso tempo indescrivibile.

Stai già lavorando ad un altro libro? Se sì, sarà sempre un fantasy o ci dobbiamo aspettare Eva D’Amico in un altro genere?
Sì, sto già lavorando ad un altro libro, anch’esso fantasy ma di tutt’altro genere.
Senza fare spoiler (cosa abbastanza complessa per me) posso dire di essere alla ricerca di un’atmosfera che sia storicamente esatta e verosimile in cui calare un’ambientazione fantasy questa volta un poco più cupa e introspettiva.

Niente, con queste brevi e succose anticipazioni, possiamo concludere qui l’intervista e non vediamo davvero l’ora di rileggere Eva nella sua prossima opera, sperando che sia all’altezza e anche di più di “Caoineadh”!!

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2 commenti

Francesca · Gennaio 22, 2021 alle 3:28 pm

Temo vi sia un grave equivoco di fondo e molta confusione da parte dell’autrice, che pure afferma di essersi ampiamente documentata, perché in gaelico “caoineadh” (il corrispondente inglese è keen) significa letteralmente lamentazione funebre ritualizzata e dunque non è un sostantivo di persona, ma di cosa. La lamentazione funebre ritualizzata in un funerale irlandese, ancora presente in alcune zone fino agli inizi del secolo scorso, veniva eseguita da prefiche che lo facevano in genere per professione, e venivano chiamate appositamente. Il caoineadh, anche detto “Irish cry”, è una composizione in versi, in parte memorizzati e talvolta improvvisati, di altissimo valore poetico, che veniva recitata davanti al cadavere nel corso della veglia funebre (wake), altra tradizione irlandese molto complessa. La prefica, che in irlandese si chiama ” bean chaointe” (pl. mná caointe) non ha nulla a che vedere con streghe o cose del genere, perché erano donne normalissime, apprezzate e rispettate per il loro ruolo. Alcune erano famosissime per la loro arte poetica e molto richieste. Addirittura, uno dei testi più famosi, il Lamento per Art Ui Laoghaire, fu composto nel 18° dalla moglie poetessa e di testi di caoineadh ne abbiamo molti, conservati dagli studiosi di folklore e nei dipartimenti di folklore delle università irlandesi.
L’usanza della lamentazione funebre ritualizzata è antichissima e presente in tutte le culture, fra cui quella greca antica, (in greco si chiama threnos), di cui rimangono documenti sia in Omero che nelle tragedie greche. Ma anche nell’Italia meridionale, ancora fino agli anni ’50 del secolo scorso l’etnologo Ernesto De Martino, autore del libro “Morte e pianto rituale”, ne ha documentati alcuni esempi.
Dunque nulla di esoterico, nulla di stregonesco o sciamanico! E comunque la parola indica l’oggetto e non la persona!
Altra confusione: Banshee, che significa “l’essere fatato femminile”, è un tipo di essere fatato del folklore irlandese (non una persona anche qui!) che si diceva annunciasse la morte di un membro delle famiglie nobili di stirpe irlandese con grida e pianti. Questa tradizione, che è parte delle leggende e del folklore e che anche qui non ha nulla a che fare con le streghe, è stata ampiamente studiata fin dal 19° secolo dai folkloristi.
Tutto questo lo dico con cognizione di causa perché me ne occupo a livello si studio da vari decenni.
Va benissimo scrivere fantasy e anzi è bellissimo creare storie fantastiche, però non si possono poi fare errori del genere e far passare qualcosa per quello che non è usando dei termini di cui non si conosce il significato e creando confusione anche nel lettore.
Mi auguro che la giovane autrice accolga questa critica in senso costruttivo, perché tale vuole essere.

    50milapagine - Admin · Marzo 7, 2021 alle 4:44 pm

    Grazie mille Francesca del feedback, queste sono senz’altro critiche costruttive che possono aiutare l’autrice a fare sempre di meglio 🙂

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