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Mi sono cimentata per la prima volta nella lettura di un thriller coreano. Mi incuriosiva la trama, la copertina e questa nuova esperienza, senz’altro con uno stile di scrittura molto diverso da quello occidentale, questo senza ombra di dubbio. Il libro prescelto in questione è “Una brava bambina” di Mi-ae Seo, edito da Giunti Editore e uscito all’inizio del 2020, praticamente in piena pandemia. Che dire? Andiamo con ordine e vi mostro la trama, così vi rendete conto di cosa stiamo parlando e perché mi aveva incuriosita così tanto.

Una vera scena del crimine mostra la crudeltà dell’essere umano molto più di qualsiasi film dell’orrore. Questo insegna Seonkyeong agli studenti del suo corso di criminologia. Ma anche se tutti la chiamano Clarice, come la protagonista del “Silenzio degli innocenti”, la giovane professoressa è appena all’inizio della sua carriera e nessuno si spiega come mai uno dei più temibili serial killer della nazione, Yi Byeongdo, soprannominato il David per il suo volto angelico, abbia deciso di parlare proprio con lei. Ha ucciso tredici donne ma non ha mai voluto rivelare dove ne ha nascosto i corpi e ora è nel braccio della morte in attesa della pena capitale. Per Seonkyeong l’inattesa notizia arriva in un momento già difficile della sua vita privata: la figlia del marito si trasferisce a vivere con loro dopo essere scampata a un incendio in cui ha perso i nonni. Da un giorno all’altro un pericoloso killer e una bambina spaventata sono entrati prepotentemente nella sua vita e richiedono tutta la sua attenzione. Mentre Seonkyeong cerca di trovare accesso alla psiche malata di Yi Byeongdo, la piccola Hayeong si rivela una bambina schiva e silenziosa, morbosamente attaccata al padre e al suo vecchio orsetto di peluche, capace di reazioni inaspettatamente violente. Se è vero che tutti i serial killer hanno avuto una infanzia difficile, quali sono le vere radici dei comportamenti criminali? Possibile che gli occhi di un terribile serial killer e di una indifesa bambina nascondano la stessa oscurità?
Torniamo a noi. Ha poi deluso le aspettative? Ni, direi. Né sì e né no. Ho avuto qualche difficoltà iniziale nel memorizzare nomi di persone e città in quanto appunto decisamente diverse da quelle a cui siamo più abituati, ma chiaramente a questo c’è sempre un rimedio e non mi faccio fermare da difficoltà simili.
Fin da subito è ben chiaro che il thriller segua due vicende diverse che non sempre son riuscita a comprendere cosa centrassero fra di loro e a trovarne dei punti in comune. Ho avuto più volte l’impressione di due binari destinati a non incontrarsi mai. Alla fine l’incontro c’è effettivamente stato, ma, a mio parere, era un po’ debole il tutto. Peccato.
La narrazione è piuttosto lenta, ho sempre avuto un po’ la sensazione che stesse andando in crescere in diversi momenti della lettura, ma alla fine il culmine non mi sembra di averlo mai raggiunto, si è sempre tenuto bene o male sulla stessa lunghezza d’onda dall’inizio alla fine, nessun momento sconvolgente o particolarmente eccezionale, se non forse per proprio la conclusione finale, che invece mi è piaciuto molto. La fine è stata un po’ inquietante, ti lascia un po’ quel senso di inquietudine e spossatezza finale, che ha contribuito a darmi un’impressione del libro quanto meno più appassionante.
Sì, perché sebbene non ci siano stati grossi attimi di suspance e tensione, sulla fine si è migliorato abbastanza. E’ un finale particolare, non è detto che possa piacere a tutti, ma a me quando finiscono con qualche alone di mistero e inquietudine, mi piace assai, se si tratta di libri.
Se sei un lettore accanito di thriller, come avrai potuto ben intendere, non penso possa essere una lettura particolarmente eccezionale per te, ma per lettori alle prime armi o che si approcciano per la prima volta al genere, ci può stare, un inizio un po’ più soft, prima di andare verso letture più toste.
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