“Ricominciare” è la parola chiave di questo romanzo, una storia di errori, fallimenti, paure ed equilibri spezzati. Una storia di rinascita.
«Chi va via nota negli occhi dell’altro che non vale la pena di restare. Chi decide di non mollare, invece, vede qualcosa che la motiva a resistere.»
Ma, a volte, si resta anche andando via. Perché allontanarsi non significa dimenticare, prendersi una pausa non significa necessariamente mollare. Non quando il tempo e lo spazio servono per mettere un punto a qualcosa che si sta spengendo sempre di più, dandoci un taglio netto; ci vogliono tonnellate di coraggio e altrettanta consapevolezza, perché trascinarsi nell’abitudinario e accontentarsi di poco può risultare la scelta più facile, se paragonata al salto nel vuoto a cui si va incontro se quel “poco” non ci basta più e si pretende il “tutto”. O il niente.

Alice, quel salto nel vuoto lo ha fatto senza paracadute; quando ha capito che così non poteva andare avanti, perché aveva perso una parte di se stessa. E, se non l’avesse ritrovata, neanche il suo rapporto con Isaac avrebbe avuto alcun risvolto positivo. Perché non si può amare qualcuno, se non amiamo completamente noi stessi.
Le sue insicurezze hanno macchiato per anni una storia d’amore che di imperfetto sembrava non avesse nulla, si sono insinuate tra loro e con il tempo sono esplose in una gelosia malsana, di quelle nocive e soffocanti che non gli permettevano di vivere sereni, rompendo un po’ alla volta quel legame pulito e indistruttibile su cui avrebbero scommesso una vita intera.
Ci sono momenti in cui bisogna saper lasciare andare, in cui l’amore non basta a solcare vuoti profondi; siamo noi gli unici poterli riempire, con la stima per ciò che abbiamo e soprattutto per chi siamo diventati. Perché il tempo scorre, ma se non si riesce a stare al passo e ci si rende conto di essere rimasti indietro, è giusto recuperare da soli quel tratto mancante per poi ricongiungerci con chi ci circonda. Il rischio, però, è alto, non è scontato che gli altri abbiano la pazienza di aspettarci.
Per Isaac non si è mai trattato di questo, non è la pazienza che lo tiene ancora legato ad Alice, ma un sentimento immenso che non vuole saperne di affievolirsi. Nemmeno quando lei lo lascia, neanche quando lo esclude dalla sua esistenza e tanto meno quando decide di trasferirsi in Europa a tempo indeterminato. Lui continua ad amarla in silenzio e ad aspettarla senza pretese né prospettive. Perché la verità è che non sa nemmeno se lei tornerà. O se tornerà da lui.
E non importa se i giorni passano, se le persone intorno cambiano, se il gruppo si sta pian piano sgretolando; non importa quanto lui ci provi a vivere senza di lei o che si ripeti in continuazione che Alice è un capitolo chiuso, nel suo cuore avrà sempre quel posto unico e speciale che si riserva ad una persona soltanto. All’unica che ci completi.
Anche questa volta, Nusia è stata in grado di coinvolgermi a trecentosessanta gradi e a farmi entrare in totale empatia con i protagonisti; ho compreso ogni timore e ogni fragilità di Alice, ritrovando in quella ragazza un po’ persa e un po’ sfiduciata, la me stessa di qualche anno fa. Avrei voluto avere la possibilità di rassicurarla, di prenderla per mano e mostrarle la strada, perché era proprio lì, davanti a lei. Bastava solo che alzasse lo sguardo e la vedesse. Ma non sarebbe stato giusto e non sarebbe servito, perché doveva farlo da sola; era necessario che ritrovasse se stessa, che ricucisse le sue ferite e si specchiasse senza la paura costante di scorgere le cicatrici. Solo allora sarebbe guarita del tutto. E il suo percorso avrebbe acquistato un senso, ne sarebbe valsa la pena. Malgrado le perdite, nonostante il tempo perso. Indipendentemente da chi avrebbe ritrovato ad aspettarla.
«È giusto anche capire che il “fin quando ci fa stare bene” deve essere più importante del “per sempre”.»
Anche quando fa male. Anche quando vorremmo strapparci il cuore dal petto, perché il dolore è insopportabile. E persino quando ci sentiamo così distrutti da non saper come mettere un passo avanti all’altro, perché camminare sulle spine ci sta squarciando l’anima.
A volte si deve toccare il fondo per trovare la forza di risalire in superficie. Si deve un po’ morire, per poter rinascere. Per poter davvero scrivere la parola fine. E ricominciare.
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