“Che dici, Calime’, allora passo a prenderti e scappiamo insieme?”

Senza paura, senza domande, senza tentennare. Anche se la paura è così impetuosa e travolgente da toglierci il respiro, anche quando le domande sono molte di più di tutte le risposte che saremmo mai capaci di trovare, persino quando tentennare è l’unico momento in cui ci sentiamo al sicuro.

Perché lanciarsi nel vuoto ne crea uno immenso nella pancia e non possiamo essere certi di sopravviverci. O conviverci. O magari entrambe le cose. Eppure, volare per quei pochi istanti potrebbe essere a salvezza di una vita intera.

Immergermi in questa storia è stato tanto emozionante quanto straziante. Perché la vita è proprio così, una giostra sfiancante, che ti toglie il respiro e le forze, ma ti regala sensazioni uniche.

Ho sentito ogni cosa, ogni cicatrice di Clelia sotto i polpastrelli mentre sfioravo le pagine, ogni lacrima di Lorenzo che si mischiava alle mie, bagnandomi le guance, bollenti e irrefrenabili.

Avrei voluto guardare negli occhi quella ragazzina minuta, con le sue magliette nere a maniche lunghe anche in piena estate, con i capelli troppo corti che la rendevano ancor più fragile; avrei voluto raccontarle che il mondo non è quel posto buio e soffocate di cui lei ha una sconfinata paura, che il dolore è spietato e sa inciderti il cuore fino a ridurlo in minuscoli pezzettini che non saprai più incastrare al posto giusto; lasciarle una carezza sul viso devastato da rimpianti e sensi di colpa e svelarle che non le servirà saperli incollare, quei pezzettini, perché a volte siamo in grado di ricostruire da capo ogni cosa e renderla ancor più bella, ancor più preziosa. Unica.

E Lorenzo, ho sentito il bisogno costante di abbracciarlo e promettergli che ogni incubo ha una fine e così sarebbe stato anche per il suo, che non avrebbe dovuto sentirsi intrappolato ma bensì avere il coraggio di scavare sul fondale della sua sofferenza e scovare quella forza incontenibile per liberarsi da tutto ciò che lo braccava; e poi mi sono sentita stupida e banale, intrappolata insieme a lui, perché ho scoperto che non tutti gli incubi finiscono davvero, con alcuni bisogna imparare a convivere ed è impensabile. Distruttivo.

All’ultima pagina del romanzo, mi sono resa conto che a volte quelle che ci raccontiamo sono solo bugie, menzogne infiocchettate con i migliori propositi, tempestate di sbrilluccichini con il solo scopo di abbagliarci di fronte ai disastri più devastanti, quando non siamo pronti ad accettarli. Ed ero a corto di fiato e di parole, ché a volte non ce ne sono di giuste. Credere nella speranza è la salvezza dell’anima, ma la speranza è un filo così sottile, che potremmo non accorgerci del momento in cui si spezza e diventa solo una fervida e comoda illusione. Di quelle che ci cullano dolcemente e tolgono un po’ di amaro a un domani già scritto con inchiostro indelebile.

Ho amato tutto di questo romanzo, la descrizione dei personaggi, la caratterizzazione così reale e in linea con ciò che hanno vissuto; mai scontato, mai banale, affatto forzato. Silvia Ciompi è stata una bellissima scoperta e, come spesso accade in questi casi, sono certa che recupererò anche gli altri suoi libri, perché ha uno stile dolce e incisivo al tempo stesso, ti trapassa da parte a parte con parole semplici ma colme di pathos e realismo.

“Non piangere. Io sarò da qualche parte a volerti felice, a volerti viva, piena di musica, piena di cielo. E non avremo buttato il tempo. Avremo fatto sì che ne sia valsa la pena.”

Il messaggio più importante di questa storia, tra gli innumerevoli che ci sono, è proprio questo. Non abbiamo paura a viverci ogni secondo, perché nessuno ce li restituisce; e che siano cento, mille o milioni, non sprechiamone neanche mezzo, trasformiamoli in ricordi indelebili.

Facciamo sì che ne valga la pena.


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